Perché è buono da bere il ghiaccio marino?

In breve

Partendo da un’insolita domanda, descriviamo come si forma il ghiaccio marino, che costituisce la banchisa polare, un ambiente in continua evoluzione.

L’equilibrio di questo fragile ecosistema è sotto minaccia a causa del riscaldamento globale e le previsioni degli scienziati non sono tranquillizzanti; infatti nel 2035 l’Artico potrebbe essere in estate senza ghiaccio marino  con conseguenze fortemente impattanti sull’intero pianeta.

Fig. 1

Anche il ghiaccio deve invecchiare come una bottiglia di buon vino! 

Un blocco di ghiaccio “fresco”, young ice, caratterizzato da un colore grigio bianco, risulta salato, mentre ghiacci d’annata, old ice, risultano quasi completamente potabili.

Il fenomeno del congelamento dell’acqua marina fu accertato in epoca relativamente tarda (fine del sec. XVIII) poiché per lungo tempo prevalse l’opinione che tutti i ghiacci delle regioni polari fossero di provenienza terrestre. Tale opinione si diffuse poiché il ghiaccio marino è privo o scarsissimo di sale.

Oggi si sa che anche l’acqua del mare può congelare, ma non a 0 °C come l’acqua pura; infatti la presenza di altre sostanze dissolte all’interno dell’acqua abbassa la temperatura di solidificazione.

Quanto è salata l’acqua di mare?

La salinità media dell’acqua di mare è di 35 g/kg e la temperatura di solidificazione dell’acqua marina è circa -1,91 °C.

L’aspetto della banchisa è sempre uguale nel corso dell’anno?

No, la sua estensione cambia molto durante l’anno, per le variazioni stagionali della temperatura. Inoltre il ghiaccio marino ha origine e caratteristiche diverse rispetto a quello che, sempre nelle aree polari, si forma sulla terraferma; quest’ultimo assume l’aspetto di lingue glaciali che arrivano fino al mare.

 

L’acqua, un composto anomalo

Consideriamo l’acqua come il più semplice dei liquidi, ma dal punto di vista chimico-fisico è di gran lunga il liquido più strano poiché si comporta in modo completamente diverso dagli altri.

Per evidenziare queste caratteristiche si usa un’espressione “comportamento anomalo dell’acqua”; infatti l’acqua dolce, che per comodità consideriamo equivalente all’acqua chimicamente pura, quando viene raffreddata raggiunge il punto di massima densità a circa +4 °C e non a 0 °C. E questa anomalia comporta molte conseguenze!

La prima è che l’acqua aumenta il proprio volume a temperature inferiori ai 4 °C, diminuendo così la propria densità. Raggiunta la temperatura di solidificazione a 0 °C, inizia la formazione del ghiaccio che, essendo meno denso dell’acqua, galleggia su di essa.

 

E la formazione del ghiaccio marino?

Nelle regioni circumpolari la temperatura atmosferica scende talmente tanto da provocare sulla superficie dell’oceano la formazione di ghiaccio, che ricopre vaste estensioni di questi mari, formando la banchisa, uno strato continuo il cui spessore solo raramente raggiunge i 3 m.

La superficie dell’acqua, a contatto con l’aria fredda, diminuisce la propria temperatura e raggiunge la temperatura di solidificazione per l’acqua di mare, circa -2 °C.

Ecco l’anomalia a cui prestare attenzione!

Per l’acqua la temperatura corrispondente alla massima densità non coincide con  quella del suo punto di congelamento.

La presenza di ioni minerali all’interno dell’acqua di mare fa abbassare sia la temperatura di congelamento dell’acqua, sia quella del punto di massima densità, ma quest’ultima temperatura decresce più velocemente della temperatura di congelamento.

Le due temperature di congelamento e di massima densità coincidono a – 1,33 °C, in corrispondenza di un valore di salinità di circa 25 g/kg, ben inferiore alla salinità media dell’acqua di mare.

Lo “sfasamento”  tra le due temperature ha delle conseguenze?

Certamente sì!

L’acqua marina non raggiunge mai la temperatura di massima densità, perché inizia prima il processo di formazione del ghiaccio.

Le acque oceaniche circumpolari, con una salinità compresa tra 32 g/kg e 34 g/kg, raggiungono rapidamente la temperatura di solidificazione (-2° C) e al di sotto di questa temperatura si produce il ghiaccio sulla superficie del mare.

 

Quali sono le fasi di formazione del ghiaccio marino?

All’inizio si creano i cristalli di ghiaccio, costituiti da acqua pura, poiché il sale disciolto non vi resta intrappolato e tende a precipitare verso il basso.

Gli ioni dei sali presenti nell’acqua di mare rimangono in soluzione e aumentano ulteriormente la densità dell’acqua che si trova immediatamente al di sotto dello strato di ghiaccio in formazione. Ciò fa abbassare ulteriormente la temperatura del punto di solidificazione.

L’acqua di mare, pertanto, non ha un punto di congelamento specifico perché la temperatura di solidificazione si abbassa a mano a mano che la salinità aumenta, in conseguenza della formazione del ghiaccio stesso.

Tuttavia il processo di produzione del ghiaccio non prosegue all’infinito per i seguenti motivi:

  1. L’acqua oceanica si raffredda cedendo calore all’aria, che ha una temperatura molto più bassa, ma lo strato di ghiaccio che si forma agisce esso stesso da isolante, rallentando la dispersione del calore e quindi rallentando la diminuzione di temperatura.
  2. Solo una parte dell’acqua superficiale congela, la restante ha maggiore salinità ed è più densa; per questo motivo sprofonda, richiamando verso l’alto acqua sottostante meno densa e più calda che impedisce alla temperatura di diminuire ulteriormente.
  3. L’eventuale accumulo di neve sulla superficie del ghiaccio non produce l’aumento dello spessore della banchisa. L’incremento del peso dovuto alla neve fa sprofondare il ghiaccio, che  nella parte bassa incontra acqua più calda, per cui fonde di una quantità equivalente a quella della neve depositatasi in superficie.

Come si crea la banchisa?

La formazione della banchisa avviene in diverse fasi.

Se la temperatura in superficie continua a stare sotto il punto di congelamento, si produce una miriade di cristalli di ghiaccio che galleggiano e conferiscono all’acqua un aspetto oleoso; questo strato di poltiglia prende il nome di slush o grease ice  e può raggiungere uno spessore di circa 5 cm, se il mare è in quiete.

In condizioni di mare agitato, si formano i pancake ice, strutture caratterizzate da forma tondeggiante, prodotta dalla continua collisione tra i ghiacci in formazione. Il diametro di tali strutture può andare dai 30 centimetri ai 3 metri, a seconda delle condizioni locali che influenzano la formazione del ghiaccio. Lo spessore può raggiungere i 10 centimetri.

 

Fig. 2

 

A causa delle continue collisioni, l’acqua salata resta intrappolata all’interno del ghiaccio, così il pancake risulta essere più “salato” e la quantità di sale presente dipende soprattutto dalla temperatura dell’aria, basti pensare che a -16 °C la salinità del ghiaccio è 1/5 di quella dell’acqua di mare.

Nella fase successiva questi “isolotti” si uniscono e formano la banchisa, una distesa continua di ghiaccio dello spessore medio di circa 2 m, sufficiente, a causa della scarsa conducibilità termica del ghiaccio, a impedire un ulteriore congelamento delle acque sottostanti.

 

Per il ghiaccio conta l’età!

La banchisa appena formata è costituita da uno strato di ghiaccio marino che prende il nome di young ice, caratterizzato da un colore grigio bianco. Ma si possono distinguere altri stati di sviluppo: il first year ice e l’old ice, che dura più di uno svernamento e che è più secco del precedente, in quanto, con il passare del tempo, i sali disciolti tendono a precipitare verso gli strati inferiori.

 

La banchisa è un ambiente pericoloso?

L’esplorazione di queste zone oceaniche e la navigazione  risultano molto difficili e pericolose.

Navi, anche di grande tonnellaggio, sono rimaste intrappolate tra i lastroni alla deriva e molte sono finite letteralmente stritolate dai ghiacci. La storia delle esplorazioni polari è costellata di avventure e tragedie legate proprio ai pericoli della banchisa.

Inoltre le correnti, i venti, le tempeste mantengono la banchisa in continuo movimento, causando rotture di lastroni, accavallamenti, collisioni, che creano un paesaggio tormentato fatto di creste sporgenti dal ghiaccio e grandi fratture.

La frammentazione della banchisa dà origine al pack, una distesa di vasti lastroni detti floe, che vanno alla deriva separati l’un l’altro da tratti di mare libero, detti polynia.

I lastroni di ghiaccio, scontrandosi e accavallandosi, possono costituire ammassi irregolari, anche di notevole altezza, gli ice hummocks.

 

Fig. 3

Qual è lo stato di salute dei ghiacci marini artici?

Le osservazioni più recenti forniscono dati preoccupanti. In un post del 16 ottobre 2020 di Ingrid Hunsad sul sito INGV Ambiente, Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia si legge che:

Nel 2020 la copertura di ghiaccio marino dell’Oceano Artico ha raggiunto un minimo, secondo solo al valore registrato nel 2012. A metà settembre il ghiaccio copriva soltanto 3,74 milioni di chilometri quadrati, ovvero mezzo milione di km² al di sopra del minimo storico del 2012, quando l’estensione era di soli 3,27 milioni di chilometri quadrati.

Ricordiamo che l’osservazione sistematica dell’estensione dei ghiacci marini è iniziata con l’ausilio dei satelliti a partire dal 1979.

L’analisi a lungo a termine di questi dati mostra che, per la seconda volta nei 42 anni di storia dell’osservazione satellitare, il ghiaccio marino artico si è ridotto a meno di 4 milioni di chilometri quadrati. Una enorme perdita se si pensa che in media tra il 1979 e il 2000 il ghiaccio si estendeva per 6.7 milioni di km2.

Ovviamente l’estensione del ghiaccio marino è  caratterizzata da un ciclo annuale, durante l’inverno si forma il nuovo ghiaccio e si ispessisce quello “vecchio” degli anni precedenti. Poi a marzo inizia il lento processo di fusione che continua durante l’estate e il ghiaccio marino raggiunge un minimo solitamente nel mese di settembre.

Proprio a settembre viene fatto il bilancio dell’intero anno, confrontando i dati con le annate precedenti. Purtroppo il bilancio dell’autunno 2020 non è stato positivo!

 

Fig. 4

 

Quali sono le cause della diminuzione del ghiaccio marino nel 2020?

La massiccia diminuzione di ghiaccio durante l’estate 2020 non è stata una sorpresa per due ragioni.

La prima è che, durante l’inverno precedente, si è formato solo ghiaccio marino molto sottile nei mari prospicienti la costa Russa (Mari di Laptev, di Kara e della Siberia orientale) perché i venti hanno spinto il ghiaccio giovane verso nord. Ciò ha impedito l’ispessimento della copertura di ghiaccio che, essendo sottile, si è fusa velocemente quando è arrivata la primavera.

La seconda ragione è legata al fatto che nel 2020 l’Artico ha subito temperature sia dell’aria, sia dell’acqua estremamente elevate e, di conseguenza, il calore ha consumato il ghiaccio anche dal basso. Più le zone oceaniche sono prive di ghiacci marini e più risultano scure, assorbendo così una maggiore quantità di energia solare. Ciò  produce l’intenso riscaldamento dell’acqua di superficie che mina la sopravvivenza del ghiaccio.

 

Parlano i dati sperimentali

I dati raccolti confermano tale riscaldamento dell’acqua, ad esempio la temperatura superficiale nel Mare di Barents è aumentata di 4,5 °C rispetto alla media.

In aggiunta, fra maggio e giugno 2020, una grande cella d’aria calda si è soffermata sulla costa Siberiana, per cui all’inizio dell’estate l’Artico russo conteneva circa un milione di chilometri quadrati di ghiaccio marino in meno rispetto allo stesso mese nei sette anni precedenti.

A luglio una nuova cella di aria calda si è fatta strada nell’Artico centrale, provocando un aumento di 6 °C, oltre la media e il settore Canadese dell’Oceano Artico è stato travolto da una tempesta che ha frammentato il ghiaccio marino, favorendone la fusione.

La dott.ssa Monica Ionita, climatologa dell’Istituto Alfred Wegener (AWI) ha spiegato che tra luglio e agosto l’alto numero di giornate serene, senza nuvole ha contribuito, ulteriormente, allo scioglimento dei ghiacci.

Perché è importante l’età del ghiaccio?

Lo stato di copertura dell’Artico può essere descritto usando come parametro l’età del ghiaccio. Quello “vecchio” di parecchi anni tende ad essere più spesso e rugoso rispetto a quello che si è appena formato e proprio queste sue caratteristiche forniscono all’old ice più resistenza sia alla frammentazione, sia alla fusione.

Gli scienziati affermano che nel marzo 1985 il ghiaccio, sopravvissuto ad almeno quattro estati, costituiva il 16% dell’intera copertura invernale. Nel marzo 2018 era soltanto l’1%!

Si innesca così un meccanismo perverso: il poco ghiaccio vecchio implica maggiore vulnerabilità allo scioglimento estivo, maggiore è lo scioglimento estivo e minore sarà l’età del ghiaccio nel successivo inverno e così via…

Nell’estate del 2020 gli scienziati a bordo della rompighiaccio da ricerca tedesca Polarstern hanno visto con i loro occhi e studiato il rapido scioglimento nell’Oceano Artico.

Ecco la testimonianza del capo della spedizione, il professore Markus Rex:

L’entità della ritirata del ghiaccio marino quest’anno è stata da mozzare il fiato. Quando abbiamo raggiunto il Polo Nord, il 19 agosto, abbiamo visto ampi tratti di mare aperto. Eravamo circondati da ghiaccio crivellato di buchi a causa del massiccio scioglimento. Il ghiaccio artico sta scomparendo a una velocità drammatica. Dal 31 agosto, si sono sciolti quasi 80 mila km2 al giorno di ghiaccio marino.”

Qual è il ruolo del ghiaccio marino?

A questo punto è lecito chiedersi perché sia necessario preoccuparsi della salute dei ghiacci marini.

Il ghiaccio marino Artico gioca molti ruoli: è l’habitat di fauna e flora artica, è una barriera per gli scambi di calore tra l’oceano e l’atmosfera, è in grado di riflettere i raggi del sole durante le lunghe giornate estive ed è una barriera per le attività umane, come per esempio le rotte commerciali (rotta del Mare del Nord), che si portano dietro il rischio di sversamenti di petrolio.

 

Studi recenti

Le mutate condizioni climatiche hanno reso sempre più frequenti e “normali” le alte temperature a latitudini polari; un articolo dell’agosto 2020, pubblicato su Nature Climate Change, asserisce che lo scioglimento dei ghiacci marini artici corre più rapido delle previsioni e già nel 2035 l’Artico potrebbe essere senza ghiaccio marino in estate.

Secondo una simulazione basata su un nuovo modello, ciò che sta accadendo ora è simile a quanto accaduto nell’ultimo periodo interglaciale verificatosi tra 130mila e 116mila anni fa; per questo studio i ricercatori della British Antarctic Survey di Cambridge del Regno Unito hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Center of Earth Observation Science dell’Università di Manitoba (Canada), del The Met Office di Exeter, del Dipartimento di Meteorologia dell’Università di Reading e delle università di Cambridge e Washington.

Gli scienziati di questo ampio team di lavoro sono giunti alla conclusione che è possibile avere una migliore comprensione del futuro guardando indietro all’ultimo periodo caldo della Terra, iniziato 130.000 anni fa, quando probabilmente l’Artico è stato senza ghiacci nelle estati dell’ultimo periodo interglaciale, per la presenza dei cosiddetti melt ponds o stagni di fusione, le pozze di acque libere che si formano sul ghiaccio marino nei mesi più caldi, che riducono la riflettività della superficie e assorbono molta più radiazione solare del terreno ghiacciato.

Studiare il paleoclima, per prevedere il futuro! L’attuale presenza di melt pods nell’Artico fa comprendere la necessità di inserire nei modelli climatici tutte queste informazioni.

Quale lavoro per gli scienziati? Quello di concentrare tutte le loro competenze su un obiettivo che non può essere procrastinato ulteriormente: l’azzeramento delle emissioni di CO2, principale responsabile del riscaldamento del nostro pianeta.

Che futuro ci aspetta?

L’analisi di quanto sta accadendo al polo Nord fa prevedere che si passerà dall’avere uno strato di ghiaccio marino perenne ad uno stagionale, destinato a formarsi solo nel periodo invernale e a fondere completamente in quello estivo.

L’assenza di ghiaccio avrà innumerevoli implicazioni climatiche sull’emisfero boreale, causando modifiche alla circolazione atmosferica e forti interferenze sul Vortice Polare, l’area di bassa pressione che staziona in modo semi-permanente sul Polo Nord, in particolare durante il periodo invernale.

Con certezza l’Uomo vedrà cambiamenti ambientali di grande impatto sull’intero pianeta! E la responsabilità di tali stravolgimenti climatici è e sarà solo nostra!